La migrazione che ammala

"La migrazione che ammala"

La sofferenza psichica dei migranti forzati

L’esperienza ormai ventennale del nostro Paese nell’accoglienza di numeri importanti di migranti forzati ha messo in evidenza tutta la complessità dei bisogni di cui è portatore chi arriva in Italia costretto da circostanze estreme, spesso per sottrarsi a persecuzioni o a contesti di violenza generalizzata determinati da guerre o conflitti civili, con un progetto migratorio estremamente fragile se non del tutto inesistente. 
La quasi totale mancanza di canali legali di accesso alla protezione espone peraltro queste persone a un percorso migratorio pericolosissimo e segnato da situazioni di sfruttamento, violenze, malnutrizione, impossibilità di essere curati, umiliazione psicofisica, detenzione e respingimenti.
A tutto ciò si sommano le difficoltà che si ritrovano dopo l’arrivo in Europa, quando la loro condizione di vulnerabilità li espone a ulteriori traumi, non ultimi quelli legati a condizioni di accoglienza non adeguate e al rischio concreto di cadere in processi di grave marginalizzazione.
Non sorprende quindi che questo specifico gruppo, che rappresenta peraltro una porzione assai modesta della popolazione di origine straniera che risiede in Italia – a dispetto dell’esposizione mediatica a cui è stato esposto in anni recenti – sia particolarmente soggetto a disturbi mentali, in particolare a quelli di tipo reattivo,  ovvero il Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD), la depressione reattiva, le sindromi ansiose e da disadattamento. Un dato da sottolineare è quello delle  dipendenze, soprattutto da alcool, cannabis e farmaci, nonché problematiche che riguardano le funzioni cognitive (quali difficoltà di concentrazione e memoria, di fissazione ma anche di rievocazione di ricordi autobiografici)[1]
Un bisogno complesso e multidimensionale come quello espresso dai migranti forzati richiede risposte altrettanto complesse e multidimensionali: per questo quasi  inevitabilmente il confronto con questa popolazione finisce per mettere in evidenza tutte le fragilità riconducibili alla scarsa integrazione tra servizi sociali e servizi sanitari che, nonostante i passi avanti compiuti, ancora caratterizza molti territori.
Un elemento di complessità aggiuntiva riguarda il fatto che il sistema di accoglienza,  peraltro articolato in segmenti diversi e ancora fortemente improntato a una dimensione emergenziale, fatica a offrire soluzioni soddisfacenti rispetto alle  situazioni di vulnerabilità. D’altra parte, i servizi territoriali di salute mentale stentano a offrire risposte adeguate e raramente si pongono in modo proattivo rispetto ai servizi di accoglienza.
In molti contesti territoriali mancano professionalità con le competenze specifiche necessarie, in altri contesti pur essendo presenti, sono in numero troppo limitato per rispondere al bisogno esistente. In mancanza di strumenti capaci di interpretare la sofferenza in chiave antropologica e culturale, spesso si fa ricorso a percorsi di medicalizzazione, con prestazioni non necessarie e spesso non efficaci[2].

A oggi i bisogni di salute mentale dei migranti forzati emergono prevalentemente in forma di acuzie.
A fronte di una frequentazione estremamente 
limitata dei servizi territoriali di salute mentale da parte dei migranti forzati (e, in alcuni territori, da parte dei migranti in genere), molto più frequenti sono le richieste di TSO o di ricovero in SPDC (Servizio Psichiatrico per la Diagnosi e la Cura) per migranti che manifestano crisi di varia natura. L’esperienza suggerisce che almeno una parte delle crisi per cui gli operatori dei centri di accoglienza chiedono l’intervento siano imputabili a incomprensioni e conflitti, tanto tra ospiti e operatori che tra gli ospiti di una stessa struttura.

In un contesto di tensione, con una ridotta disponibilità di mediatori linguistico-culturali,  aumentano le possibilità di considerare impropriamente patologici comportamenti riconducibili a reazioni di rabbia, dolore, ansia o frustrazione. D’altra parte invece si corre il rischio di non rilevare sintomi di disagio potenzialmente altrettanto, se non più, preoccupanti quali isolamento e perdita di interesse a qualunque attività, perché, specialmente in una grande struttura, passano inosservati. Tutto ciò naturalmente non esclude che in alcuni contesti specifici si verifichino positive ed efficaci collaborazioni, informali o formalizzate, tra i diversi soggetti coinvolti nell’accoglienza, nella tutela e nella cura dei migranti forzati.
Nel 2013 l’Italia si è trovata nella necessità di recepire la direttiva europea 2011/95/UE[3] e questo ha offerto l’occasione di costituire un Tavolo tecnico partecipato da enti pubblici, enti di tutela ed esperti che ha portato alla stesura di Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale con il decreto del Ministero della Salute il 24 aprile 2017.
Le Linee guida si concentrano sull’individuazione precoce degli esiti dei traumi premigratori (tortura o violenza estrema) nella fase immediatamente successiva all’arrivo e hanno  un’attenzione specifica al tema delle certificazioni degli esiti del trauma, ma sono necessariamente meno focalizzate sulla tutela a lungo termine del benessere psico-sociale di tutti i migranti forzati e sulle strategie per ridurne la ritraumatizzazione. 
L’applicazione delle Linee guida è ancora molto carente: a oggi solo la Regione Lazio le ha recepite, adattandone le indicazioni al contesto organizzativo regionale[4]. Inoltre, le recenti modifiche del sistema di accoglienza ne richiederebbero un aggiornamento.
Tra il 2018 e il 2020, l’IPRS ha realizzato, nell’ambito del progetto PsychCare – Psychiatric Services for Refugees, finanziato dalla Open Society Foundations, un’azione di advocacy  partecipata sul tema della tutela della salute mentale dei migranti forzati.
Il progetto, che è intervenuto in quattro regioni (Lazio, Lombardia, Campania, Sicilia), ha  realizzato dapprima una ricognizione delle principali criticità attraverso l’ascolto diretto di oltre  250 persone, tra professionisti del servizio sanitario, operatori sociali e migranti.
L’analisi di quanto emerso e il lavoro di tavoli regionali di stakeholder, organizzati tra febbraio e maggio 2020, ha portato alla definizione di Linee di indirizzo per la presa in carico integrata della salute mentale dei migranti forzati, relative in particolare a tre ambiti: l’accesso ai servizi di salute mentale, l’adeguatezza dei servizi di salute mentale e l’apporto del sistema di accoglienza.
Per ciascun ambito il documento presenta una sintetica analisi delle criticità, delle linee di indirizzo che mirano a definire le responsabilità dei soggetti coinvolti e alcune indicazioni per l’organizzazione dei servizi, tratte da esperienze positive maturate sui territori.
La pubblicazione, disponibile sul sito dell’IPRS[5], ha potuto dar conto solo limitatamente della ricchezza della discussione e non va pertanto intesa come la conclusione di un percorso, ma piuttosto come un contributo e uno stimolo a proseguirlo. L’obiettivo era sollecitare una riflessione sull’organizzazione dei servizi sociali destinati specificamente ai migranti forzati, a partire dal sistema di accoglienza; potrebbe concorrere in modo significativo a quell’azione di sensibilizzazione e promozione della salute mentale che, pur non essendo responsabilità esclusiva del sistema sanitario, fa comunque parte integrante della cura in senso ampio.
L’esigenza di una maggiore integrazione tra dimensione sanitaria e sociale è già riconosciuta e formalizzata in alcuni ambiti di intervento (si pensi ad esempio alla disabilità) e in varie regioni italiane si sta sperimentando lo strumento del budget di salute come opportunità di co-progettazione di percorsi individualizzati tra servizi sanitari e servizi sociali.
Un modello più efficace di presa in carico per i migranti forzati deve certamente andare in questa direzione.

Il contributo del Fondo Asilo Migrazione Integrazione alla presa in carico integrata della salute mentale dei migranti forzati

Già nell’ambito delle attività del Fondo Europeo Rifugiati 2008-2013 il finanziamento di diversi
progetti con la finalità di migliorare gli interventi in favore delle categorie vulnerabili dei richiedenti e titolari protezione internazionale ha offerto l’opportunità di sperimentare modelli di intervento e anche di portare a una prima sintesi l’esperienza di numerosi enti pubblici e del privato sociale, impegnati in tutta Italia su questo tema[6].
Nella programmazione del Fondo Asilo Migrazione Integrazione 2014-2020 si è scelto di
investire risorse, attraverso una linea di intervento dedicata, per favorire quel processo di crescita di competenze e sinergie di tutto il sistema che si è rivelato indispensabile per accogliere un bisogno di salute tanto complesso.
Anche alla luce dell’esperienza della cosiddetta emergenza Nord Africa che si era da poco conclusa, è stata sollecitata un’attenzione specifica sulla connessione tra il sistema di accoglienza e il servizio sanitario. I numerosi progetti finanziati dal Fondo su tutto il territorio italiano hanno offerto l’opportunità di avviare o affinare sperimentazioni, di consolidare collaborazioni e di proseguire la ricerca di un linguaggio comune tra specialisti e operatori coinvolti a vario titolo nell’accoglienza e nella cura dei migranti forzati, presupposto per rendere il sistema socio-sanitario italiano, nelle sue numerose e talora diversissime articolazioni territoriali, effettivamente accogliente e inclusivo.
I progetti finanziati dai fondi europei hanno rappresentato e continuano a rappresentare opportunità importanti per trasferire competenze, sperimentare modalità di intervento innovative e consolidare collaborazioni tra attori territoriali, alcuni dei quali rappresentano riferimenti importanti a livello nazionale e internazionale.
Forte però è anche l’esigenza di condividere e comunicare maggiormente i risultati raggiunti, per massimizzare l’impatto e anche ambire a dare continuità nella programmazione ordinaria a modalità di intervento che si sono dimostrate, anche alla luce di sperimentazioni pluriennali, valide e addirittura necessarie per assicurare il servizio. L’emergenza Covid-19 che ha per molti versi rallentato, limitato e certamente trasformato le attività dei progetti (molti dei quali hanno
peraltro dato un contributo importante alla gestione della pandemia, anche grazie ad alcune risorse aggiuntive che è stato possibile mettere a disposizione), ha però d’altro canto offerto l’opportunità a chi scrive di intervistare online i referenti e le équipe di molti dei progetti  finanziati.
Da queste conversazioni, nonché dal materiale di presentazione inviato a questo scopo, è stato possibile evidenziare tre principali ambiti di intervento. 

Analisi del bisogno in vista dell’organizzazione dei servizi

I migranti forzati non rappresentano un gruppo omogeneo, essendo portatori di differenti esperienze e aspettative di salute e di assistenza, collegate a origini, background culturali, ma anche fasce d’età differenziate. Molti servizi sanitari hanno pertanto sentito il bisogno di sperimentare strumenti che consentano una maggiore e più approfondita conoscenza del bisogno di salute mentale dei migranti che soggiornano sul territorio, anche in vista di un’organizzazione dei servizi più adeguata[7]. È bene peraltro sottolineare che l’imprevedibilità dei flussi può comportare variazioni, anche repentine, dei bisogni, che richiedono ai servizi flessibilità e capacità di riprogrammazione.
I progetti che promuovono operazioni di screening nei centri di accoglienza[8] stanno sperimentando alcuni dei diversi strumenti validati statisticamente a livello internazionale, cercando anche, nella maggior parte dei casi, di porre le basi per una procedura di emersione tempestiva della vulnerabilità che possa essere consolidata e continuare a essere utilizzata regolarmente con i nuovi arrivati. Rispetto a questo si pone il problema di chi possa utilizzare tali strumenti.
Le Linee guida del Ministero della Salute prevedono che l’uso sia “limitato al personale medico e psicologico del Centro di accoglienza”, ma l’assenza di tali figure professionali nella maggior parte delle strutture pone una seria questione di sostenibilità. Il progetto G-Start della ASL Roma 5, ad esempio, sta valutando la possibilità di estendere la platea dei potenziali somministratori anche agli assistenti sociali delle ASL e ai mediatori culturali che lavorano in ambito sanitario.

Utilizzo di dispositivi di cura multidisciplinari

I progetti offrono anche l’occasione di mettere a punto e sperimentare le modalità più adatte per raccogliere e verificare le segnalazioni ricevute dai centri, nonché assicurare la presa in carico effettiva all’interno dei servizi e, in modo integrato, sul territorio. I progetti hanno dato l’opportunità  di sperimentare interventi più innovativi e pertinenti, anche rivolti a gruppi specifici[9], ma un elemento appare come particolarmente caratterizzante: la costituzione di équipe multidisciplinari composte da professionisti di enti pubblici e del privato sociale che lavorano congiuntamente, secondo un modello di intervento del tutto in linea con quanto previsto dalle Linee guida del Ministero della Salute[10]
Come conferma l’esperienza delle équipe dei progetti che da più tempo sperimentano questo dispositivo (come il progetto START 2.0 della ASST Spedali Civili di Brescia, il progetto STARTER 2 della AUSL di Bologna, il progetto FARI 2 della ASL Roma 1), la presa in carico della salute mentale dei migranti forzati richiede dispositivi di pensiero arricchiti, setting capaci di restituire la complessità e la multidimensionalità attraverso la messa in comune di sguardi, competenze e punti di vista.
L’équipe è utile anche per gestire meglio le emozioni contrastanti e anche difficili che inevitabilmente nascono nel confronto con la diversità e con la sofferenza estrema.
In questo contesto si inserisce anche la mediazione linguistico-culturale, intesa non come lavoro di interpretariato, ma come collaborazione attiva e professionale  all’intervento[11], che si conferma importante per prevenire fraintendimenti iniziali e misdiagnosi, ma che ancora stenta a essere utilizzata ordinariamente dai servizi, sia perché in molti casi non è disponibile se non attraverso finanziamenti straordinari come il FAMI, sia per una certa mancanza di consuetudine o persino resistenza a servirsene anche dove le aziende ne offrono la disponibilità.
Per la sostenibilità di tali dispositivi è necessario e auspicabile stipulare protocolli formali tra i diversi enti del territorio, in sinergia tra servizio pubblico e privato sociale. Alcuni progetti FAMI dedicano linee di attività specifiche al consolidamento della rete territoriale: ad esempio il progetto Spir.Net, che coinvolge 6 ULSS venete, la Prefettura di Vicenza e di Padova e alcuni enti del terzo settore, ha realizzato una mappatura degli accordi esistenti, un’analisi della normativa regionale e delle linee guida aziendali e locali per analizzare discordanze, omogeneità, punti di forza e possibili ottimizzazione di risorse e connessioni.
Il progetto G-Start della ASL Roma 5 prevede l’attivazione di un tavolo permanente Tavolo Salute e Accoglienza (TASAC) presso la ASL con funzioni di indirizzo e coordinamento delle attività di assistenza sanitaria a favore dei migranti forzati.

Sensibilizzazione, formazione e socializzazione delle competenze

La mancata conoscenza dei servizi di salute mentale da parte di migranti e operatori sociali e i diffusi pregiudizi in merito richiedono interventi capillari, realizzati anche con modalità innovative, per far sì che un’informazione corretta e comprensibile raggiunga gli operatori dell’accoglienza e i migranti accolti nelle strutture. D’altra parte i professionisti del sistema sanitario non sono sempre consapevoli della specificità dell’esperienza dei migranti forzati, né delle caratteristiche del sistema di accoglienza.
Molti progetti intervengono in questo senso per favorire un percorso di reciproca conoscenza che crei un ambiente favorevole alla cura, migliori la comunicazione e favorisca la messa in atto di strategie di promozione della salute in generale e della salute mentale in particolare.
A esempio il progetto In divenire 2.0, promosso dalla Regione Liguria, ha costituito presso la ASL 4 Chiavarese un tavolo per operatori dell’accoglienza,
co-coordinato da un etnopsichiatra e da un’antropologa, a cui partecipano tutti gli operatori che a vario titolo lavorano nei centri di accoglienza presenti sul territorio.
Questo luogo di confronto si è rivelato utile per vari motivi: crea uno spazio in cui costruire confronto e relazione fra operatori con formazione differente, proponendosi quindi anche come spazio di formazione continua a partire dall’esperienza vissuta direttamente dagli operatori; genera iniziative condivise a supporto delle condizioni dei rifugiati, costruendo una rete territoriale di tutti i soggetti che si occupano della questione, inclusi i Comuni coinvolti.
I progetti FAMI offrono anche l’opportunità di offrire moduli di formazione rivolti a tutti i professionisti coinvolti nei percorsi di cura, valorizzando anche l’apporto di quei centri specializzati, con specifiche competenze di etnopsichiatria e psichiatria transculturale, che sono diventati dei riferimenti a livello nazionale sul tema della salute mentale dei migranti forzati.
Un’attività intensa in questo senso, che durante l’emergenza pandemica si è trasferita online, caratterizza tutti i progetti finanziati. È ormai chiara e condivisa l’esigenza di far crescere le competenze culturali di tutti i servizi, che hanno ormai a che fare in tutta Italia con una popolazione multiculturale e dunque, al di là della possibilità di avvalersi della consulenza di centri specializzati di secondo livello, devono essere in grado di ampliare la propria capacità di intervento, affinché non venga meno l’indispensabile dimensione di prossimità dei servizi di cura.
Anche in questa prospettiva emerge l’importanza di socializzare le competenze e di dotarsi di luoghi in cui tener viva la discussione tra gli specialisti e allargare il  confronto in una dimensione sempre più ampia.
Ad esempio la Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM), che nell’ambito del progetto Spir.Net Azienda della ULSS 8 Berica[12] ha curato la formazione degli operatori coinvolti, ha costruito uno spazio di confronto e approfondimento sulla piattaforma di e-learning del sito SIMM.
Analoga funzione ha la Comunità di Pratica web-based costituita nell’ambito del progetto G-Start su una piattaforma apposita (Moodle), all’interno dedicata a discussioni sincrone e asincrone sui temi del progetto, condivisione di risorse, comunicazioni e calendarizzazione di eventi e attività.
Un più intenso e competente utilizzo della rete come strumento per facilitare il confronto e la discussione va certamente annoverato tra le lezioni apprese in questo difficile periodo di pandemia, di cui sarà importante continuare a fare un uso sapiente anche una volta finita l’emergenza.

Conclusioni

Le progettualità finanziate in questi anni dal FAMI, di cui quelle citate rapidamente in questo articolo sono solo una parte, hanno permesso di iniettare energie in tre contesti che negli anni sono stati indeboliti e gravemente depauperati di risorse economiche e umane: i servizi di salute mentale, i servizi sociali territoriali e il sistema di accoglienza dei migranti. I risultati importanti raggiunti in questi anni su quasi tutti i territori italiani dimostrano che il nostro Paese dispone di competenze che, se opportunamente sostenute, sono in grado di esprimere vere e proprie eccellenze, ma soprattutto un grande slancio innovativo, certamente necessario a raccogliere le sfide poste dalle rapide trasformazioni della società.
Le sperimentazioni e ricerche, spesso pluriennali, hanno delineato con sufficiente chiarezza i cambiamenti che sarebbero necessari nei diversi ambiti coinvolti. Anche lasciando da parte quelli che necessitano di un ripensamento legislativo di più ampio respiro, per introdurre modifiche significative nel sistema ordinario dei servizi serve il coinvolgimento di diversi livelli di responsabilità: Ministeri (non solo dell’Interno, ma anche della Salute e delle Politiche Sociali), Regioni, Comuni, singole Aziende sanitarie.
Il FAMI potrà continuare, con la prossima programmazione, a sostenere questo processo di trasformazione a lungo termine, il cui esito però non può che dipendere dalla convinzione e dall’impegno di tutti i soggetti coinvolti.

Il nuovo numero della rivista, aperta alle migliori collaborazioni di settore e in rapporto costante con i vari Ordini professionali della cura, si intitola “La rivoluzione stanca” ed è dedicata alla salute mentale con i contributi di Marco D’Alema, Nerina Dirindin e molti altri professionisti. 

Il numero, sarà disponibile in free download sul sito della rivista, www.dromorivista.it.

Note:

[1]: Libertas M., Petta A.: Il profilo di salute mentale dei richiedenti asilo e rifugiati, in Psychcare. Linee di indirizzo per la presa in carico integrata della salute mentale dei migranti forzati, a cura di IPRS, novembre 2020, pp. 8-19. La pubblicazione è disponibile sul sito dell’IPRS (https://www.iprs.it/wp-content/uploads/2018/09/Report-PsychCare-ITA-10_20.pdf).

[2]: Progetto Footprints, Report sull’analisi territoriale delle criticità e delle risorse. WP2- Coordinamento degli interventi territoriali, a cura della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni, pp. 89-90.

[3]: Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 20 dicembre 2011, L. 337

[4]: Delibera di Giunta Regionale nr. 590 del 16 ottobre 2018, Indicazioni e procedure per l’accoglienza e la tutela sanitaria dei richiedenti protezione internazionale.

[5]: https://www.iprs.it/wp-content/uploads/2018/09/Report-PsychCare-ITA-10_20.pdf

[6]: Si vedano per esempio le Raccomandazioni per una nuova programmazione nazionale e territoriale dei servizi di presa in carico e riabilitazione delle vittime di tortura o di violenza estrema, a cura del comitato scientifico del progetto FER,
“Lontani dalla violenza” (agosto 2010) e le Linee guida per un’accoglienza integrata e attenta alle situazioni vulnerabili dei richiedenti e titolari di protezione internazionale realizzate nell’ambito del progetto FER “Per un’accoglienza e una relazione d’aiuto transculturali” (maggio 2011).

[7]: Il progetto FARI 2- Formare Assistere Riabilitare Inserire della ASL Roma 1 prevede a questo fine un’attività di raccolta dati e analisi che favorisca l’incremento della capacità di risposta dei servizi territoriali per il target dei richiedenti e titolari di protezione internazionale e dei minori stranieri più vulnerabili. Una ricerca condotta da CESPI (Centro Studi di Politica Internazionale) ha come obiettivo la stesura di un report sui servizi di tutela della salute rivolti ai richiedenti e titolari di protezione internazionale che ha coinvolto le sette Aziende Sanitarie Locali della Regione Lazio partner di progetto (ASL Roma 1, ASL Roma 2, ASL Roma 4, Asl Roma 6, ASL di Latina, ASL di Frosinone, ASL di Rieti).

[8]: Per esempio il progetto Pending sta realizzando uno screening che prevede l’utilizzo di reattivi mentali (Mini-International Neuropsychiatric Interview – M.I.N.I; Comprehensive Assessment of At Risk Mental States – CAARMS; Hopkins symptom Checklist-25 – HSCL-t25; Harvard Trauma Questionnaire posttraumatic stress checklist – HTQ-16; Wechsler Abbreviated Scale of Intelligence second edition – WASI-II; Trail Making Test – A – TMT A; Digit Symbol Coding; Test di fluenza verbale – categorie animali; Facial Emotion Identification Test) e colloqui clinici a un campione di 400 migranti ospiti presso le strutture di accoglienza della provincia di Salerno a cura di tre équipe multidisciplinari opportunamente formate, gestite e supervisionate dagli esperti psichiatri e psicologi del Dipartimento di Salute Mentale e Fisica e Medicina Preventiva della Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, dalla ASL di Salerno, dall’ Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali e dalla Fondazione Santa Lucia. Il progetto G-Start sta realizzando uno screening per valutare la vulnerabilità psicologica della condizione di rifugiato nei centri di accoglienza del territorio della ASL Roma 5 utilizzando lo strumento RHS-15 a cura del Dipartimento di Salute Mentale della ASL.
Il progetto Nuova Rete per la salute mentale per i richiedenti asilo in ATS Brianza prevede la somministrazione agli ospiti dei centri di accoglienza del territorio del Questionario sul benessere generale GHQ-12 da parte di équipe multidisciplinari integrate e itineranti.
Anche il progetto PASSI per la salute mentale – Percorsi di cura e Accoglienza Socio-sanitaria integrata per la Salute Mentale dei MSNA prevede un’attività di screening nel centro di pronta accoglienza per minori non accompagnati del Comune di Milano utilizzando il RHS, validato per i minori nel progetto Salut@mi, non somministrato come tale, ma piuttosto utilizzato come traccia per un colloquio effettuato da uno psicologo dell’età evolutiva del Policlinico di Milano.
Un’operazione di screening, che però non riguarda la salute mentale, viene realizzata dal progetto PROTECT promosso dall’Università di Roma “Sapienza”, che si propone di valutare e trattare le principali patologie presenti nel distretto della testa e del collo nei pazienti migranti attraverso l’intervento di un team multidisciplinare composto da odontoiatri, otorinolaringoiatri, oftalmologi e chirurghi maxillo-facciali in centri di accoglienza e associazioni culturali per migranti al fine di intercettare le suddette condizioni patologiche e, successivamente, sottoporre a trattamento terapeutico i pazienti.

[9]: Nel progetto PASSI i fondi FAMI hanno consentito di rafforzare l’integrazione tra intervento sociale e intervento sanitario per i percorsi dedicati ai minori stranieri non accompagnati, consentendo di modulare l’intervento socio-educativo coprendo
per esempio i costi di interventi educativi, di potenziamento cognitivo, o di attività sportive.
Il progetto FARI-2, pur con alcune limitazioni imposte dall’emergenza pandemica, ha realizzato alcune attività di acquisizione di specifiche competenze (ristorazione, agricoltura sociale, manutenzione del verde e alta sartoria) presso il padiglione 16 del Santa Maria della Pietà di Roma.

[10]: Par 3.2: “La presa in carico deve prevedere un approccio integrato, multidisciplinare e multi dimensionale, con interventi che si realizzano in tappe successive: accoglienza, orientamento, accompagnamento. A tal fine è necessaria, da parte delle Aziende Sanitarie Locali, la definizione di un percorso terapeutico assistenziale che abbia carattere multidisciplinare, chiave di volta dell’assistenza e della riabilitazione delle vittime di tortura, che integri professionalità socio-sanitarie e giuridiche dei servizi territoriali pubblici, degli enti gestori e del privato sociale, ove presente”.

[11]: Un dispositivo di mediazione etnoclinica è stato messo in atto dal progetto For Migrants promosso dalla USL Umbria 1.

[12]: Il progetto Spir.Net coinvolge un ampio partenariato: Azienda ULSS 2 Marca trevigiana, Azienda ULSS 5 Rovigo Azienda 6 Euganea, Azienda ULSS 7 Pedemontana, Azienda 9 Scaligera, GEA Coop Sociale.