I gruppi multifamiliari nella scuola

Premessa

Storicamente si può osservare una lunga fase – ormai tramontata pur se gli adulti di oggi possono ancora conservarne memoria – in cui le responsabilità educative nei confronti dei minori, unitamente alle responsabilità relative alla loro socializzazione ed alla tutela del loro benessere, sono state attribuite – sia in termini di organizzazione dei servizi, sia dal punto di vista delle consuetudini sociali e culturali – ad una serie di agenzie che agivano con un elevato grado di autonomia rispetto alla famiglia ed al ruolo dei genitori. In accordo col senso comune, è stato di conseguenza a lungo accettato il fatto che soggetti terzi, ad esempio gli insegnanti, assumessero in parte o in toto la responsabilità di governare i processi di crescita del minore in maniera relativamente indipendente dal parere o dal consenso dei genitori.

Nel passato più recente, questo comune sentire è invece andato incontro a profondi cambiamenti, in concomitanza con l’evoluzione della famiglia e del modo di intendere il suo ruolo ed il suo mandato sociale nella società civile, anche in seguito all’evoluzione dei rapporti tra i cittadini e le varie istituzioni ed agenzie sociali, nonché in seguito a quella sorta di progressiva democratizzazione della società (nei fatti oltre che nei principi) accompagnata dall’affermazione del principio di piena partecipazione di tutti all’esercizio della cittadinanza attiva. Un esempio storico del passaggio culturale verificatosi e, nel contempo, una tappa importante di tale passaggio sono senz’altro rinvenibili nel riordinamento dell’organizzazione della scuola, inaugurato nei primi anni Settanta del Novecento e noto col nome “Decreti delegati” (legge 30 luglio 1973, n. 477, che delegava il Governo ad emanare con Decreto del Presidente della Repubblica alcuni decreti, per l’appunto “delegati”, poi integralmente confluiti nel Decreto Legislativo 297 del 1994, Testo unico delle leggi sulla scuola). In particolare ed ai fini di ciò che interessa qui mettere in evidenza, quest’innovazione normativa ha comportato l’istituzione di nuovi organi collegiali, trasformando la scuola in un’agenzia “orizzontale”, la cui organizzazione ed il cui funzionamento, sul piano amministrativo e sul piano didattico ed educativo, discendono da organismi a carattere collegiale democratico che, nel rispetto delle competenze di ciascuno, tendono ad assicurare la partecipazione di tutta la comunità alla vita della scuola.

L’esempio è semplice ma indica con precisione l’incisività di un passaggio culturale di ampia portata: si parla oggi comunemente non solo di scuola “aperta”, ma di asili-nido e scuole materne anch’esse “aperte”, così come sono “aperti” gli ospedali ed i vari luoghi di prevenzione, cura e riabilitazione, fino a considerare “aperti” tutti gli ambienti in cui agenzie e soggetti terzi, rispetto alla famiglia, si occupano del minore. Luoghi aperti non solo in senso spaziale – intesa l’organizzazione dello spazio quale ottima metafora del significato di un luogo – ma in primis aperti a processi di dialogo e negoziazione con la famiglia, in merito a tutto ciò che riguarda il minore. Dunque famiglie sempre più responsabili e partecipative, che difficilmente delegano il potere e la responsabilità della scelta all’insegnante, al medico, all’assistente sociale, alla guida dei boy scout, al responsabile del centro estivo, all’organizzatore di una gita, a chi si occupa di babysitteraggio, ovvero a chiunque altro sia possibile rubricare.

Il processo di responsabilizzazione partecipativa, se per un verso ha reso le famiglie più collaborative, ha per contro portato con sé un incremento della diffidenza delle famiglie nei confronti delle altre agenzie e dei soggetti terzi che si occupano del minore. Il caso del rapporto con la scuola è ancora esemplare. Lo può essere altrettanto quello del rapporto con le strutture sanitarie (dalle vaccinazioni alle scelte in tema di cosiddetta chirurgia estetica, passando ovviamente per le decisioni più complesse, in cui è in gioco la vita stessa del minore). In ogni caso, è di quotidiana osservazione il conflitto che inevitabilmente si genera in questa sorta di “delega diffidente”, che tende ad informare l’intero spettro dei rapporti tra la famiglia e gli altri soggetti, istituzionali e non istituzionali, a vario titolo chiamati ad occuparsi del soggetto minorenne.

Il modello di intervento dei gruppi multifamiliari Badaracco, nella scuola, a contrasto della dispersione scolastica

Nell’ambito del Progetto “Una piazza perché nessuno si perda”, al fine di perseguire l’obiettivo di rendere la Comunità Educante capace di autosostenersi per rispondere con differenti strumenti e modalità alle esigenze dei giovani, delle famiglie e di tutti gli operatori di territorio in tema di contrasto alla evasione ed abbandono scolastico, si intende proporre l’uso dei gruppi Multifamiliari Badaracco come strumento di supporto alle famiglie dei minori a rischio dispersione scolastica.

La dispersione scolastica, come è noto, è un fenomeno complesso che comprende in sé aspetti diversi, non è riconducibile a interpretazioni univoche di causa-effetto ed investe l’intero contesto scolastico-formativo-sociale, nella sua analisi è necessaria una visione integrata dei vari fattori che si correlano e interagiscono. Dal punto di vista più strettamente psicologico ed individuale la dispersione scolastica può essere considerata il sintomo di un più ampio e complesso disagio personale. In questa ottica l’abbandono scolastico, come soluzione al proprio disagio individuale e relazionale, non risolve il disagio stesso e il malessere che ne deriva, ma può condurre verso un allontanamento sempre più profondo dalla scuola e dalle risorse che essa può offrire per una crescita personale e trasformarsi in forme di disagio sociale, relazionale, se non in manifestazioni di condotte e comportamenti devianti.

L’uso del gruppo multifamiliare può essere trasferito all’interno del Sistema scolastico per la rispondenza con le finalità e gli obiettivi che sottendono l’intervento con le famiglie dei minori a rischio abbandono scolastico. Applicato al tema dell’abbandono scolastico e del disagio a scuola, il gruppo MF costituisce un setting in cui è possibile lasciar emergere e comprendere i molteplici ambiti/elementi di difficoltà che rendono complicato il rapporto con lo studio, la scuola, il futuro, ecc. e di cui l’abbandono scolastico è in realtà solo l’epifenomeno.

Le finalità e gli obiettivi che il gruppo multifamiliare si propone consistono, in estrema sintesi, nella definizione di un modello di supporto e sostegno alle famiglie ed al contempo alla scuola nel contrasto all’abbandono scolastico, ed il valore fondamentale è racchiuso nella realizzazione di un gruppo di scambio tra più nuclei familiari, dedicato ad affrontare il disagio sociale che genera l’abbandono scolastico, attraverso livelli di comunicazione intergenerazionale, intragenerazionali ed interfamiliari.

Il gruppo multifamiliare intende offrire un luogo fisico e mentale in cui ripensare il senso delle proprie esperienze genitoriali e familiari. Un luogo che costituisce anche occasione per decantare le emozioni che tali esperienze provocano, confrontarsi con altre famiglie che vivono una situazione simile e facilitare la comunicazione adulto-minore. Tale spazio sarà strutturato, quindi, per sostenere l’alleanza delle due principali agenzie educative ( la famiglia e la scuola ) nel contrasto all’abbandono scolastico, il quale sovente può essere letto come comportamento predittivo di disagio sociale.

Sintesi dei riferimenti teorici del modello

La teorizzazione concernente il Gruppo Multifamiliare rimanda all’esperienza pluridecennale svolta in Argentina da Jorge G. Badaracco il quale, prendendo in considerazione la psicanalisi di gruppo, la terapia familiare e i costrutti teorici da esse derivanti, sperimenta all’interno di un contesto psichiatrico l’utilizzo del dispositivo gruppale multifamiliare che vede la presenza al suo interno di pazienti, loro nuclei familiari, operatori.

Secondo quest’impostazione, il contesto multifamiliare crea un ambiente dove è possibile sperimentare le dinamiche psicologiche della famiglia di origine, offrendo la possibilità di riattualizzarle e ripeterle in nuove forme e con nuovi personaggi nell’esperienza del gruppo. La possibilità di ritrovarsi con altre famiglie che hanno situazioni simili di disagio permette la mobilitazione di emozioni che sono state spesso vissute in solitudine e che ora possono rispecchiarsi nella relazione con altri, favorendo una possibile e nuova modalità relazionale.

Le esperienze successive, che hanno visto la diffusione dell’uso dei gruppi multifamiliari in numerosi contesti sociali ed educativi, hanno mostrato che i presupposti teorici di tale modello consentono l’utilizzo dei questi gruppi all’interno di contesti non strettamente terapeutici. E’ possibile infatti mantenere i principi basilari di strutturazione e conduzione del gruppo, togliendo però al gruppo la finalità strettamente psicoterapeutica in vista di una finalità ampiamente terapeutica (ovvero di crescita e supporto).

Il suo utilizzo implica comunque la conoscenza di alcuni concetti di carattere psicologico che però, oltre a far parte del bagaglio formativo degli insegnanti, sono anche entrati nel linguaggio e nella conoscenza di base comune e trasversale a molte discipline. Ci riferiamo a concetti quali quelli di identificazione, risonanza, rispecchiamento che sono ampiamente utilizzati nel linguaggio quotidiano.