Oltre a delinearsi, sempre più evidente, la maggiore vulnerabilità delle ragazze, assume rilevanza, nei dati, la centralità assunta dalla dimensione scolastica come principale fonte di disagio. Differentemente da ciò che in letteratura è tipicamente associato alla fatica adolescenziale — l’ansia, il rapporto con il corpo, il sentirsi non accettati socialmente — la scuola, più di ogni altro ambito di vita, sembra concentrare e catalizzare la sofferenza adolescenziale. L’asse della performance scolastica diviene il principale spazio simbolico in cui si misura il valore di sé, il successo o il fallimento personale.

Come leggere questo dato? Ad un primo esame la scuola sembrerebbe configurarsi come il maggior fattore traumatogeno in adolescenza, alimentando vissuti di inadeguatezza e di esclusione; non costituisce soltanto il contesto in cui la sofferenza si manifesta, ma diviene parte integrante del problema: è proprio l’impatto con la scuola che induce una immagine svalutante di sé. Una seconda interpretazione vede invece la scuola agire come un dispositivo di condensazione del disagio, perché si trova a assorbire e tradurre forme di sofferenza che altrove non trovano possibilità di espressione o riconoscimento. Le difficoltà emotive, relazionali o identitarie vengono così ricondotte e riformulate nel linguaggio della prestazione scolastica, che diventa il canale principale attraverso cui l’adolescente comunica — spesso senza parole — la propria fatica di esistere.

A partire da prospettive differenti – psicologica, sociale, educativa e giuridica – il seminario propone chiavi di lettura del ritiro sociale e del malessere scolastico, indagando le nuove forme di solitudine giovanile, le appartenenze fragili, i vissuti di inadeguatezza e i segnali di una rinuncia degli adolescenti al legame sociale.

Rivolto a assistenti sociali, insegnanti, psicologi e ricercatori, il seminario mira a favorire lo scambio di esperienze e la costruzione di pratiche condivise a sostegno degli adolescenti.